Chi era Ebrahim Raisi: la sua ascesa, la sua caduta

The rise of Raisi

Sayyid Ebrahim Raisol-Sadati nasce nel 1960 a Mashhad, una cittĂ   di notevole importanza religiosa con 3 milioni di abitanti a est della capitale, dove si sposta per conseguire una laurea in diritto. Gli studi e la vicinanza ideologica  all’Ayatollah Khamenei aprono a Raisi una rapida carriera nella magistratura, che lo porterĂ  ad essere procuratore di Theran a soli 29 anni.

Già funzionario di spicco e custode del redditizio santuario dell’Imam Reza, tenta il passaggio alla politica nel 2017, candidandosi come presidente contro l’uscente H. Rouhani che però viene riconfermato, determinando la sconfitta del partito conservatore e quindi di Raisi, che torna ai suoi incarichi.

La sconfitta elettorale non ha intaccato la sua ascesa come magistrato, che nel 2019 prosegue passando dai vertici della procura nazionale alla presidenza della corte Costituzionale, l’ultimo incarico che ricopre prima di dedicarsi completamente alla carriera politica, vincendo le discusse elezioni presidenziali del 2021.

 

Le discusse elezioni del 2021

Partiamo dalla fine. Ebrahim Raisi vince le elezioni presidenziali del 2021 con il 61.9% delle preferenze espresse, circa 18 milioni di voti, su 60 milioni di aventi diritto. Su questo risultato ha pesato soprattutto l’astensionismo (51,2%) e le schede nulle (12,5%), due importanti sintomi di una disillusione della popolazione che gli osservatori internazionali concordano nell’attribuire a due principali fattori: la crisi economica e la disaffezione verso le istituzioni.

Il secondo fenomeno si è accentuato quando l’anacronistico organo del “Consiglio dei Guardiani”, nominato per una metà dall'Ayatollah e per l’altra dal potere giudiziario, ha respinto le candidature più promettenti, ammettendo solo sette candidati alcuni dei quali rinunciano in favore di Raisi. Questa mossa poco velata ha di fatto creato le condizioni per una facile vittoria del favorito di Khamenei. Il debole risultato elettorale ha rappresentato in questi anni un problema non indifferente per l’establishment iraniano che ha sempre basato la legittimità del proprio potere sul diffuso consenso popolare il quale, dal 2021, non fa che calare.

Tuttavia la presidenza Raisi ha ricompattato le due anime dello stato iraniano, quella islamista e quella repubblicana sotto una comune visione religiosa e tradizionalista ben diversa da quella rapppresentanta dal suo predecessore Rouhani, un moderato disposto a concedere timide concessioni sul piano delle libertĂ  individuali.
 

La caduta

Il tragico incidente dell’elicottero che trasportava il presidente Raisi e parte del suo staff  piomba come un fulmine a ciel sereno nella politica iraniana. Il prestigioso curriculum del defunto presidente Raisi rappresentava un perfetto connubio tra le istituzioni statali e l’integralismo religioso, infatti sembrava giĂ  destinato a succedere all’anziano Alì Khamenei come Guida Suprema dell’Iran in un’ottica sia di ricambio generazionale che di continuitĂ  tra le due leadership.

Ad oggi la guida del governo è affidata al primo vice presidente, Mohammad Mokhber, fino alle prossime elezioni le quali saranno un test non indifferente per il regime iraniano che secondo i sondaggi più recenti si prepara a fronteggiare un tasso di astensionismo tra il 70 e l’80%. L’inflazione al 50%, la disoccupazione giovanile e il crollo del PIL pro capite del 28% rispetto al 2023 registrato a gennaio, hanno tradito le promesse elettorali di rinascita economica fatte da Raisi nel 2021.

Al contesto economico sfavorevole si aggiungono le richieste di maggiori libertĂ  civili, da anni latenti nella societĂ  iraniana e catalizzate dal periodo di proteste dopo il tristemente noto caso di Mahsa Amini nel 2022 a cui il governo non ha saputo dare una risposta unificante.

La complessità del caso rende difficile fare previsioni ma è possibile che la prossima tornata elettorale funga da referendum sulla repubblica iraniana come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

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