Perché crediamo alle fesserie complottiste?

Una panoramica su cognitive ease, mentalizing e tendenza del sistema nervoso a darci risposte facili quando non ne abbiamo bisogno.
 

Il complottismo è entrato a gamba tesa nel dibattito pubblico del XXI secolo. A ben guardare, tuttavia, è più o meno sempre esistito. Perché questa dinamica sociale si verifica ripetutamente e si è particolarmente acuita di recente? La cosa non colpisce, a ben guardare, unicamente i meno istruiti e/o abbienti, come qualcuno fece notare in tempi non sospetti, ma anche le fasce sociali con livello di istruzione medio-alto.

Un video divulgativo interessante e dedicato al tema si può trovare qui. Per chi non avesse voglia di ascoltarlo tutto, parla del “cognitive ease”, ossia quel processo mentale per cui siamo maggiormente propensi a giudicare positivamente e veritiera qualsiasi cosa (un evento, un’affermazione, addirittura il significato di una parola) se questa viene ripetuta spesso. In un notissimo esperimento condotto da due Università del Michigan, a due gruppi distinti di partecipanti vennero sottoposte alcune parole prive di senso inserite nel contesto di un giornale. Queste parole erano inserite con frequenze random: alcune venivano ripetute una volta sola, altre molte volte. A fine esperimento è stato chiesto ad i partecipanti di esprimere un parere positivo o negativo su ogni singola parola; si chiedeva cioè, ai soggetti, di far sapere all’esaminatore se la parola in questione evocasse delle sensazioni piacevoli o spiacevoli, o se la parola sembrasse avere un qualche tipo di significato. Non inaspettatamente, se la parola in esame era una di quelle ripetuta più volte, il soggetto era più incline a pensare che significasse realmente qualcosa o che evocasse un qualche tipo di concetto positivo. Qua potete trovare una riflessione accurata in merito.

Questo aspetto è quello su cui si basano numerosissime campagne di mercato. Più un concetto ci è familiare, più il nostro cervello sarà incline a considerarlo positivo. Succede con le parole, ma anche con i testi, con la musica, e infine con le idee.

Cosa c’entra questo col complottismo? Molto. Il nostro cervello è evolutivamente programmato per essere diffidente nei confronti di ciò che non sa, ed accogliere positivamente ciò che sa. Questo si applica a numerosissimi fenomeni percettivi. Una canzone viene apprezzata maggiormente dopo ripetuti ascolti, e la stessa cosa vale per i suoni – negli animali questo è un principio fondamentale nella crescita dei cuccioli: i versi ripetuti dei genitori sono segnali familiari. Una fotografia con un contrasto più pronunciato permette al nostro cervello di cogliere maggiormente i dettagli, pertanto sarà istintivamente più apprezzata di una fotografia con poco contrasto – è questo il principio dei filtri delle applicazioni per smartphone e dei display retina.

Qua veniamo alle teorie complottiste. La spiegazione della maggior parte dei fenomeni naturali è difficilmente comprensibile per le persone comuni. Questa categoria riguarda, in realtà, tutti noi. Chi scrive ne sa qualcosina (sempre troppo poco) di sistema nervoso centrale, ma non ha idea di come funzioni dettagliatamente la tettonica a placche, sa pochissimo di fisica quantistica ed astrofisica, matematica o altre materie. Neanche avere un grado di istruzione superiore mette al riparo da clamorose cantonate da bar della strada, quando l’oggetto della discussione non sia un campo sul quale non siamo esperti nel vero senso della parola.

Quando si verifica un evento di grossa portata (una pandemia, un terremoto, un attentato terroristico, per citare tre esempi vicini nel tempo), ma del quale ignoriamo profondamente sia le dinamiche sia, più importante ancora, le tecniche di studio, arriva dirompente il “cognitive ease”. Il nostro cervello ha un bisogno disperato di capire cosa succede, le risposte ufficiali suonano fumose e incomplete, per giunta soggette ad aggiustamenti continui, soprattutto all’inizio. Ergo molto meglio rifugiarsi in una clamorosa e facile bugia che accettare di non sapere o peggio ancora di non capire. Dal momento che una facile bugia è più confortevole di una complessa verità, dal cognitive ease scaturisce automaticamente un altro fenomeno psicologico, l'”argument for ignorance”, ossia (volendo forzatamente tradurre) l'”ipotesi (nulla) fornita per contenere la propria ignoranza”: non so cosa sia, per cui meglio cercare la spiegazione più semplice e difficilmente confutabile. Ragionamento fallace sia dal punto di vista contenutistico che, soprattutto, logico, ma nel quale tutti, una volta o l’altra, siamo caduti.

In un esilarante quanto illuminante conferenza di Neil De Grasse Tyson (qui il link, dal minuto 54:38 in avanti), l’intervistato parla a lungo di questo fenomeno in riferimento alle teorie sugli UFO.

Esiste un’approfondita (e non conclusiva) letteratura su quale sia il processo mentale che guidi il “cognitive ease”. Non si tratta di un argomento semplice e i suoi fenomeni neurofisiologici sono ben lungi dall’essere chiariti.

Il primo e più semplice processo neurofisiologico implicato è quello del “mentalizing”. Questo termine, intraducibile in italiano, indica la capacità che abbiamo di intuire immediatamente l’evoluzione o il contenuto semantico di una situazione a partire dalle percezioni sensoriali. Un esempio scolastico è quello del tizio a noi sconosciuto che cerca di aprire la portiera di un’automobile con un piede di porco: chiunque di noi si imbatta in questa scena, intuirà immediatamente (dagli elementi visivi forniti) che si tratta probabilmente di un ladro che tenta di rubare una macchina non sua, e reagirà di conseguenza (scappando o assaltandoci) se veniamo scoperti a fissarlo. Questo processo mentale, attivo più o meno dalla tarda adolescenza, non manca di essere potenzialmente fallace: nell’esempio di prima, esiste una pur remota possibilità che chi sta cercando di aprire la portiera della macchina sia in realtà il legittimo proprietario, che ha perso le chiavi. Perché, in prima battuta, a quasi nessuno di noi verrebbe in mente la seconda ipotesi come la più attendibile? Perché è la più complessa, richiede un più approfondito livello di ragionamento, e il nostro cervello è evolutivamente programmato per non considerarla come prima spiegazione.

Il processo di mentalizing, come spiegano molto dettagliatamente qua e qua, è operato da una serie di aree integrative e di strutture, che coinvolgono la corteccia pre-frontale mediale, la corteccia del giro del cingolo anteriore, l’ippocampo, l’amigdala e il giro temporale superiore.

Come funziona questo circuito del “mentalizing”? Il lobo temporale laterale è responsabile della continua elaborazione delle memorie a lungo termine, laddove il giro del cingolo e l’ippocampo analizzano memorie più a breve termine, focalizzano l’attenzione su un oggetto o un evento su cui siamo concentrati. L’amigdala, infine, in concerto con cingolo ed ippocampo, sembra implicata nel giudizio critico e nell’analisi delle emozioni suscitate dall’oggetto della nostra attenzione. Come gli studi di risonanza magnetica sovra-citati hanno ampiamente dimostrato, detta analisi è fortemente influenzata dalle memorie autobiografiche, dalle suggestioni personali, e dalle esperienze negative. Questo e questo paper spiegano che lo scetticismo basato su fallimenti o cattive esperienze personali provoca quasi automaticamente il soggetto a produrre bias ( = errori metodologici) di valutazione, aspetto che si ritrova particolarmente accentuato nei pazienti con disturbo delirante della personalità (non a caso in inglese chiamato “delusional disorder”) e/o tratti paranoidi.

Facendo un breve esempio: se il governo ci fa pagare più tasse, ci ha tolto l’accesso gratuito a un dato servizio sociale, ha aumentato i licenziamenti, o ci ha deluso in qualsiasi altra maniera, saremo inerentemente più propensi a credere alle teorie del complotto su torri gemelle, omicidio Kennedy e affini, in quanto il nostro scetticismo e la nostra delusione inducono dei bias di valutazione nel nostro processo di elaborazione critica degli eventi. I fatti vengono ignorati a favore di quello che è più semplice e ci fa più comodo pensare. Con Internet che offre pochi o zero filtri alla diffusione di informazioni mendaci, il gioco è fatto.

Non dovremmo criticare a prescindere né disprezziamo la nostra tendenza a cercare risposte facili: il meccanismo evolutivo del mentalizing è utile in un contesto più primitivo, semplice ed immediato, ed è (probabilmente) per questo che è apparso milioni di anni fa nel sistema nervoso dei nostri antenati. Tuttavia, in una società tecnologicamente avanzata ed incredibilmente complessa questo problema sta diventando estremamente più serio di quanto non possa sembrare ad un’analisi superficiale. L’ultimo lustro di politica Europea e Americana dimostra come, a causa di processi di cognitive ease che abbiamo appena descritto, la società occidentale stia costruendo una democrazia su basi di argilla. Questo articolo dell’Economist esamina attentamente la problematica. Sia ben chiaro che qua non ci proponiamo di additare questo fenomeno ad una specifica parte politica: il cognitive ease è un problema che affligge la politica in maniera bipartisan. Suggeriamo invece, fortemente, che le posizioni politiche, da qualsiasi parte vengano, siano corroborate e supportate da fatti reali, non da illazioni, dicerie o affermazioni clamorosamente false. Chi sfrutta questi processi psicologici a scopo propagandistico sa molto bene il fatto suo, e il risultato è alla base di alcune delle più clamorose frodi propagandistiche di massa che si siano viste dai tempi delle dittature europee fra le due guerre. Il dramma è che molte delle vittime sono anche convinte di essere nella situazione diametralmente opposta, ossia di averci capito tutto.

Questo è un ottimo esempio di come il cervello, pur essendo una delle strutture più straordinarie che conosciamo, presenta delle falle da tenere sotto controllo e correggere. Riprendendo Neil De Grasse Tyson, le illusioni ottiche non dovrebbero chiamarsi così, ma piuttosto “fallimento cerebrale”. Possiamo dire esattamente la stessa cosa sul processo di cognitive ease: è un fallimento del nostro cervello ad operare un’analisi razionale della realtà a favore di suggestioni e impressioni personali. Un fallimento che a volte ha conseguenze drammatiche, che dovremmo tutti cercare di combattere.

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