Next Generation EU, una sfida che rischiamo di perdere

In visita agli studenti di Norcia Giuseppe Conte ha usato parole perentorie a proposito del Recovery Plan parlando di sfida che non può essere persa. Al di là della retorica, il senso di trovarsi davanti ad un passaggio fondamentale c’è ed è dovuto a diversi fattori. In primo luogo alle straordinarie condizioni avverse all’attività economica generate dalla pandemia; in secondo luogo alla risposta poderosa della UE alla profonda crisi nella quale siamo oggi e saremo nel prossimo futuro.

L’approccio del governo a questa sfida non è stata tuttavia delle migliori. La UE ha regole di funzionamento ben precise con appuntamenti calendarizzati che ne fissano gli obiettivi.

Quando, a cavallo tra il 17 ed il 20 luglio scorso, si tenne il Consiglio Europeo che avrebbe dovuto determinare condizioni, entitĂ  e distribuzione degli interventi economici straordinari previsti dal Recovery Fund, l’Italia, unico fra i 28, si presentò senza il Piano di Riforme Nazionali. Il documento, allegato a quello di economia e finanza di aprile, fissa gli obiettivi nazionali per l’anno in corso in funzione delle Country Specific Recommendations rilasciate dalla Commissione.  Esponenti del Governo e della maggioranza si giustificarono sostenendo che quel PNR era superato, quindi inutile, per effetto delle mutate condizioni economiche e dell’appuntamento previsto dal Consiglio. Ma il documento esisteva, approvato nel Consiglio dei Ministri del 6 luglio (quindi in ritardo di oltre 2 mesi) e allegato al DEF (sezione III) che giĂ  teneva conto dell’impatto della pandemia sull’economia italiana ed europea. Le prime raccomandazioni erano state indicate dalla Commissione nello Spring Forecast e gli interventi di SURE, BEI e MES deliberati. Si trattava quindi di eccesso di prudenza o piuttosto di confusione tutta dovuta alle tensioni all’interno della maggioranza di governo?

Delineato l’intervento europeo con il macroprogramma Nex Generation EU, un pacchetto  composto da sette capitoli di destinazione delle risorse e con le prioritĂ  rivolte a sviluppo sostenibile, interventi a favore dei settori piĂą colpiti dalla crisi e modernizzazione infrastrutturale, si sarebbero dovute fare immediatamente due cose: individuare gli interventi volti a mettere in sicurezza i conti pubblici nel piĂą breve tempo possibile e raccogliere progetti credibili da presentare alla Commissione per il confronto che avrebbe poi portato nel 2021-2023 all’erogazione dei fondi. L’accordo su NGEU prevedeva infatti anche la possibilitĂ  di anticipare il 10% delle dotazioni assegnate a ciascun Paese sin dalla prossima legge di bilancio a copertura delle maggiori spese per il contrasto alla crisi. Per l’Italia si sarebbe trattato di circa 20 miliardi, da inserire nel pacchetto di misure di fine anno e spendere a cavallo del primo e secondo trimestre 2021.

In ordine ai progetti infrastrutturali - finanziabili secondo l’agenda 10% anticipato, 35% 2021, 35% 2022,  saldo 20% 2023  - non risulta nulla sia stato fatto. Ci sono state generiche dichiarazioni del premier in occasione della presentazione stampa del decreto semplificazioni; si è parlato di oltre 400 progetti presentati; si è vaneggiato per bocca di ministri ed esponenti piĂą o meno illustri della maggioranza di misure non finanziabili come la riduzione delle imposte e il taglio del cuneo fiscale. Chiacchiere.

Lunedì molte testate hanno pubblicato un documento contenente 557 progetti-obiettivo pervenuti al Ministero per gli Affari Europei. Al netto della rilevanza del documento e al netto di alcune idee che in quel documento si leggono che sembrano scaturite da una mente burlona o alla meglio non pienamente consapevole della realtà, quel pdf dà la misura plastica della confusione concettuale con cui le massime istituzioni del Paese stanno affrontando la sfida. Fra quei progetti, ad esempio, ci sono ben 64,2 miliardi di spese per messa in sicurezza e implementazione del Servizio Sanitario Nazionale che non possono essere finanziate se non col quel MES che uno dei due partiti di governo continua a rifiutare sdegnosamente.

 Il Ministro Amendola si è affrettato a dichiararlo superato (non falso) annunciando che quello definitivo sarĂ  presentato a fine gennaio dopo la conclusione delle interlocuzioni con la Commissione. Ma allora, a ottobre, cosa verrĂ  presentato alla Commissione? Quale idea di Paese ha in mente il governo che non sia l’implementazione di “foreste urbane resilienti (sigh) per il benessere di cittadini” o “costellazione satellitare per il monitoraggio ad elevata risoluzione temporale e spaziale per l’Osservazione della Terra”?

Conte, nel riferire alla Camera, ha affermato di puntare ad un obiettivo di raddoppio del tasso di crescita del PIL che da almeno 25 anni è stagnante. Parole che sentiamo da un lustro e che lo stesso premier ha già pronunciato in numerosi interventi pubblici. Manca il come o, meglio, mancano il come e il quando giacché non bastano alcune centinaia di miliardi di spesa pubblica aggiuntiva (ai circa 230 in arrivo dall’Europa vanno aggiunti i circa 150 di maggior indebitamento domestico) per rimettere in moto una macchina ferma per problemi strutturali.

Ascoltando Conte non si può non ripensare ad altre parole, oramai entrate nella memoria storica dell’Italia di questi tempi, ovvero a quell’”anno bellissimo” annunciato per il 2019 che poi abbiamo visto come è andato a finire.

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