Le politiche attive del lavoro come mancanza italiana nell’ottica del Next Generation EU

La Commissione e il Parlamento Europeo hanno concordato un piano di ripresa che verrà valutato e sviluppato nel periodo 2021-2027. Questa programmazione di ampio respiro aiuterà l’Unione europea a superare i danni economici e sociali causati dalla pandemia del 2020.

L’occasione di un investimento pubblico così ampio si propone di dirigere certi equilibri, in modo da contribuire a gettare le basi per rendere l’economia europea più sostenibile in senso fiscale ed ecologico. Dallo stesso sito del governo italiano possiamo vedere come con l’avvio del periodo di programmazione 2021-2027 e il potenziamento mirato del bilancio a lungo termine dell’UE, l’attenzione è posta sulla nuova politica di coesione e sullo strumento finanziario denominato NextGenerationEU, uno strumento temporaneo da 750 miliardi di euro pensato per stimolare una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa”, volta a garantire la possibilità di fare fronte a esigenze impreviste, il più grande pacchetto per stimolare l’economia mai finanziato dall’UE. In questo contesto si inserisce Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, lo strumento che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia intende realizzare grazie all’utilizzo dei fondi europei di Next Generation EU

Il 26 aprile 2021, il Premier Mario Draghi ha presentato alla Camera la nuova versione del Piano Ripresa e Resilienza, superando la precedente versione proposta dal governo Conte II. Il Piano cerca di affrontare diverse lacune del sistema Italia, tra cui la digitalizzazione, il divario di genere per quanto riguarda l’occupazione e il salario medio, oltre all’ovvio intervento sulle difficoltà create dalla pandemia di Covid-19. Il Piano inoltre interviene su alcuni punti in cui l’Italia ha già seguito le direttive europee e mostrato delle performance adeguate, come ad esempio la transizione ecologica.
 

1. Le politiche attive del lavoro  

La bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del 12 gennaio 2021, su cui il governo Draghi ha lavorato, accenna diverse volte alla necessità di una riforma per le politiche attive del lavoro. Il problema di questi accenni però, è il livello approssimativo delle proposte e il collegamento con altri obiettivi che richiederebbero politiche ad hoc. Per esempio, nella prima citazione del PNRR sulle politiche attive per il lavoro, queste ultime vengono presentate come strumenti per accompagnare la transizione ecologica e digitale. Ma l’obiettivo principale delle politiche del lavoro non sono gli investimenti in questo settore, che devono essere perseguiti con altre politiche dal lato dell’offerta. Le politiche attive del lavoro infatti hanno come obiettivo il reinserimento del lavoratore con competenze che la sua ex azienda non riteneva più necessarie. E perciò il lavoratore deve essere messo in condizione di seguire dei corsi ritenuti come necessari dalle aziende che possono impiegare il lavoratore. Durante questo aggiornamento delle competenze il lavoratore deve poter avere un sostegno economico per poter seguire I corsi proficuamente. Il PNRR assegna 1 miliardo e mezzo alle politiche attive per il lavoro. Assieme ai fondi rimanenti dal meccanismo SURE si potrebbe comunque pensare ad un miglioramento delle politiche attive per il lavoro come precedentemente proposto. Lo sviluppo di capitale umano, dagli studi di Gary Becker[1]in poi, mostra chiaramente il suo potenziale come creatore di occupazione. Le problematiche che queste politiche devono puntare a risolvere, riguardano soprattutto i lavoratori poco qualificati. Questi ultimi, avrebbero bisogno di seguire dei corsi formativi, più o meno in linea con il lavoro precedente, per potersi adeguare al profilo di lavoratore ricercato dalle imprese in cui il lavoratore punta ad essere assunto. Devono essere gli uffici di collocamento e le agenzie per il lavoro private, a far conoscere al lavoratore le possibilità di impiego a cui può aspirare. In base alle preferenze di stipendio e di località, il lavoratore poco qualificato, potrà poi scegliere quali competenze sviluppare per accedervi. I fondi assegnati servirebbero per coprire sia il costo dei corsi che l’indennità di disoccupazione.

Il costo dei corsi potrebbe essere coperto tramite la fornitura di voucher controllabili dai lavoratori e spendibili per dei corsi idonei secondo le competenze richieste. In modo da eliminare i possibili azzardi morali delle imprese e del settore pubblico. Che potrebbero favorire un certo fornitore di corsi, in caso di criteri di accesso fissati tramite un bando pubblico. Per evitare la creazione di monopoli in una certa tipologia di corsi, si lascia quindi al lavoratore la scelta del corso. Le imprese fisserebbero dei criteri per quanto riguarda le competenze richieste da insegnare e le procedure per dimostrare che le competenze sono state apprese. In questo modo la NASPI verrrebbe applicata come un temporaneo aiuto e gli uffici di collocamento, in collaborazione con le diverse aziende del lavoro private, si presenterebbero come istituzioni per l’avvicinamento del lavoratore, poco qualificato, alla domanda di lavoro in un settore in cerca di uno specifico tipo di competenza.

Il PNRR specifica anche che la retribuzione deve essere proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro, omettendo che ogni zona del paese ha le sue caratteristiche e richieste di competenze da parte delle aziende. Il documento dovrebbe quindi anche concentrarsi sul come far spostare il lavoratore verso un’azienda che può offrire una paga adeguata per le competenze richieste. Diversi contributi (Adda et al. 2017)[2](Pinelli et al. 2017)[3]sottolineano la necessità di agire sul mercato del lavoro italiano tenendo in conto delle differenze strutturali nord e sud. Le due zone hanno delle divisioni tipiche della regionalizzazione economica. Storper (1997)[4]elenca le 3 dimensioni della divisione regionale: la distribuzione geografica delle aziende (geografia). Le dimensioni delle aziende e la struttura che ne deriva a livello regionale (tecnologia). Il tipo di settore in cui l’azienda opera, e l’assetto manageriale che ne deriva (organizzazione).

1.1    Lo scenario delle aziende italiane

La concentrazione di imprese è maggiore al nord. Queste imprese oltretutto sono in media di dimensioni più grandi. E palese quindi, che sarebbe necessario che certi lavoratori del sud si spostassero al nord per accedere a degli stipendi più alti. Tuttavia, i contratti nazionali e la dimensione ridotta delle imprese a livello nazionale, non permetteranno una crescita verso un maggior livello di pil pro capite potenziale. Che sarebbe accessibile solo con un framework legislativo che avvicinasse gli stipendi e il valore delle aziende, alle loro rispettive valutazioni risultanti dalla dinamica tra domanda e offerta. Ma anche mantenendo ceteris paribus la struttura delle aziende e dei contratti, sarà necessario incen-tivare un sistema che possa connettere I lavoratori e le imprese delle due macro zone. La necessità di connettere queste due regioni è esemplificata dal livello di disoccupazione che il sud sperimenta strutturalmente. Le statistiche del mercato del lavoro a livello europeo mostrano come su 4 regioni europee al di sotto del 50% di occupati, 3 sono del Sud Italia, ovvero Sicilia, Calabria e Campania. Inoltre, in Sicilia si ha anche un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 50%.

 

Case Study: I programmi ANPAL

Attualmente è l’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro) che in Italia si occupa di gestire e proporre le politiche attive per il lavoro. Secondo lo stesso report dell’ANPAL del 2019[5], le attuali politiche attive del lavoro in Italia vengono principalmente gestite dai centri pubblici per l’impiego. Questi ultimi non hanno collaborazioni permanenti con le agenzie private di ricerca del lavoro. Questa mancanza di collaborazione si fa sentire soprattutto nelle zone dove le imprese non hanno una forte presenza e riconoscibilità nel territorio.

Infatti, le politiche attive con una logica di miglioramento del capitale umano del lavoratore, sono state attivate dell’ANPAL esclusivamente nelle zone in cui il mercato del lavoro è già tra I più dinamici in Italia. Il report dell’ANPAL porta l’esempio dei circa 35 mila tirocini attivati nel Piemonte nel 2017 e l’assegno di ricollocazione implementato a Trento. L’assegno di ricollocazione consiste nell’erogazione della NASPI con in parallelo dei servizi di coaching e tutorato personalizzato. L’esperimento dell’as-segno di ricollocazione a Trento ha avuto un successo in linea con il benchmark dei paesi scandinavi. Questi paesi sono tra le prime posizioni in Europa per la brevità del periodo di disoccupazione, l’effi-cacia delle politiche attive e in generale tutto ciò che appartiene al macrogruppo della ‘’Flexicurity”. La misura applicata a Trento segue infatti le metodologie scandinave, con un impiego delle politiche passive (sussidio di disoccupazione) e attive del lavoro (coaching, tutoring). Considerando che I paesi migliori d’Europa hanno un tasso di successo del 30%[6]a livello nazionale, possiamo dire che l’esperi-mento di Trento sia stato un successo. Infatti dopo I primi 6 mesi il 23% dei partecipanti al progetto risulta occupato, e dopo 12 mesi il 37%. Questo risultato è sicuramente un incentivo per applicare questa misura anche in altre zone del paese.
 

2.1  L’approccio ottimale delle politiche nel divario nord sud

Va però rimarcato che l’erogazione dell’assegno di tutorato non può portare agli stessi effetti in due mercati del lavoro così diversi. Bisogna quindi, oltre che coordinare le due zone, comprendere anche quali competenze possono facilitare l’entrata del lavoratore nel mondo del lavoro regionale o nazionale. Infatti, come vediamo dallo stesso rapporto dell’ANPAL, le politiche attive al sud si concentrano verso un’assunzione pubblica dei lavoratori o di un incentivo alle imprese per assumere. Ne sono esempio: la garanzia over in Abruzzo, ovvero un incentivo alle imprese per l’assunzione di over 30. I piani locali per il lavoro in Calabria. Essendo degli incentivi all’assunzione limitati nel tempo, hanno anch’essi effetto limitato. Visto che rendono vantaggiose le assunzioni solo fino alla fine del sussidio. Il lavoratore profittevole anche senza sussidio invece, sarebbe stato assunto comunque.

I gestori degli uffici di collocamento al sud hanno una chiara difficoltà nel reperire informazioni e nell’attirare I disoccupati. Questa difficoltà è tipica di un mercato del lavoro frammentato e con alta incidenza di lavoratori low skill. Per migliorare le informazioni e attirare I disoccupati, bisogna entrare in collaborazione con le agenzie private di politiche attive per il lavoro e con le imprese, a livello regionale e nazionale. Il ruolo del centro di collocamento pubblico infatti, non riesce ad avere al suo interno tutti I professionisti necessari per un tutoring adeguato. Serve che l’ufficio di collocamento metta in contatto il lavoratore con delle agenzie private che possano fornirgli le competenze per un posto di lavoro adatto, considerando la paga e il luogo di lavoro disponibili in tutta Italia. A quel punto gli stessi uffici di collocamento dovrebbero utilizzare I fondi del recovery fund per pagare al cittadino disoccupato o al migrante questo corso di aggiornamento. C’è anche una volontà politica che frena la connessione dei lavoratori con imprese di tutta Italia. Infatti lo spostamento dei lavoratori potrebbe creare scontento sia ai lavoratori del nord che ai disoccupati del sud. Si preferisce quindi mantenere delle imprese e dei lavoratori in una situazione di rigidità del mercato lavorativo. In ogni caso, un aumento della migrazione dei lavoratori non accrescerebbe la migrazione dei lavoratori qualificati, che già si spostano in gran parte verso il nord (uno studio del 2018 di Vecchione mostra come, nei precedenti 15 anni, 200mila laureati siano migrati da sud verso nord[7]). Questi lavoratori spesso si formano nelle università del nord e possono accedere a sistemi di ricerca del lavoro molto più efficaci nel mercato high skilled, come Linkedin.

Figura 1: Elaborazione dell’autore su dati Istat

Questa tabella mostra come il mercato del lavoro del nord possa offrire più posti di lavoro e per una fascia più qualificata. Le imprese al sud prevedono delle assunzioni, ma la quantità e le skill dei disoccupati del sud, portano ad un tasso di disoccupazione locale elevato. Per ribilanciare il mercato del lavoro e le richieste dei lavoratori serve agire sulla quantità di lavoratori, e quindi ricollocarli verso le imprese che possono assumerli. E sulle skills, fornendo dei corsi a tutti I disoccupati italiani che necessitano di migliorare la propria formazione per accedere ad un’occupazione con le caratteristiche desiderate.

Riferimenti

[1]    Becker G., Il capitale umano, Laterza, 2008

[2]    Adda J., Monti P., Pellizzari M., Schivardi F., Trigari A., Unemployment and skill mismatch in the italian labor market, IGIER-Bocconi, 2017

[3]    Pinelli D., Torre R., Pace L., Cassio L., Arpaia A., The recent reform of the labour market in Italy: A review, European Commission, 2017

[4]    Storper M, The regional world, Guilford Press, 1997

[5]    ANPAL, Le politiche attive del lavoro in Italia, primo rapporto annuale congiunto Anpal regioni e province autonome, 2019

[6]   Reddito di cittadinanza: un primo bilancio [Welforum.it del 2/07/2022]

[7]   La fuga di 200mila laureati al Nord, così il Sud ha perso 30 miliardi [IlSole24ore del 21/02/2018]

Bibliografia

  • G. S. Becker, Human Capital, Columbia University Press, 1964
  • OCPI Tortuga, Perch´ non è vero che mandare in pensione gli anziani crea lavoro per i giovani, 2018
  • ANPAL, Le politiche attive del lavoro in Italia, primo rapporto annuale congiunto Anpal regioni e province autonome, 2019
  • Storper M, The regional world, Guilford Press, 1997
  • Pinelli D., Torre R., Pace L., Cassio L., Arpaia A., The recent reform of the labour market in Italy: A review, European Commission, 2017
  • Adda J., Monti P., Pellizzari M., Schivardi F., Trigari A., Unemployment and skill mismatch in the italian labor market, IGIER-Bocconi, 2017
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