Debunking, l'eterna questione del debito giapponese

Ogni tanto ritorna, puntuale come un temporale estivo, solenne come tutte gli slogan populisti, suadente come tutte le soluzioni semplici: la Banca del Giappone compra debito domestico come non ci fosse un domani, facciamolo anche noi.

La questione è vieppiù accattivante ora che la crisi economica da pandemia sembra essere sul punto di essere messa alle spalle e l'alleggerimento delle politiche espansive delle banche centrali sembra affacciarsi all'orizzonte; in più c'è una questione che inevitabilmente riaccenderà scontri a colpi di slogan e flame che è quella relativa alla revisione del Patto si Stabilità e crescita (aka austerity).

Il mito del Giappone che non fallisce mai, che mantiene tassi bassi sul debito, che non è esposto alle turbolenze dei mercati nonostante un debito pubblico monstre raccoglie sempre simpatie, che in alcuni casi si manifestano con polluzioni notturne, nei nostrani teorici del debito espansivo. Su questi pixel abbiamo parlato molte volte dell'anomalia del Sol Levante e ci abbiamo fatto anche un discreto numero di video. Ma, in previsione nella nuova ondata di samurai della monetizzazione completa, è opportuno ricordare alcuni concetti fondamentali della teoria economica e del perché l'esempio giapponese è un pessimo esempio applicato all'Italia e all'Europa.

Prima di tutto una semplice constatazione empirica: se fosse così semplice e privo di conseguenze non ci sarebbe Paese al mondo che non seguirebbe l'esperienza del Giappone. Basterebbe espandere base monetaria sempre, non solo quando le condizioni macro lo esigono, e i problemi di scarsità di risorse scomparirebbero per magia. Sarebbe persino inutile pagare le tasse, ci penserebbe la banca centrale (o il dipartimento del tesoro) a finanziare ogni spesa pubblica. Così non è. I samurai del debito dovrebbero porsi delle domande e provare a rispondere del perché non avviene.

Secondo la World Bank il debito pubblico giapponese raggiungerà alla fine del 2021 il 256,5%, restando poi costante sopra il 250% per il quinquennio successivo. Il "misero" 159,8% italiano impallidisce.

Molte volte abbiamo spiegato perché un certo rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo è accettabile o no, a prescindere dal suo montante assoluto. In sintesi si può rispondere considerando la sua sostenibilità nel breve, medio e lungo periodo. La sostenibilità dipende essenzialmente dalla stabilità dei prezzi, dalla composizione del debito, dagli asseti finanziari e dagli spazi di manovra fiscale in mano al governo. Infine, ma non è un dettaglio, dai criteri contabili utilizzati per il calcolo del debito. 

Parto da quest'ultimo punto: se applicassimo al Giappone i criteri contabili EU SEC 2010, contabilizzando le passività delle prefetture come sono contabilizzati i debiti delle nostre amministrazioni locali, il debito pubblico giapponese si ridurrebbe di una ventina di punti percentuale. Ai fini statistici questo conta poco ma, ai fini della valutazione della solvibilità del debitore da parte del creditore professionale, il dato è significativo. 

La stabilità dei prezzi giapponese è leggendaria non meno del rapporto debito pil. Anzi per 30 anni ormai le autorità giapponesi hanno tentato, quasi sempre inutilmente, di uscire dalla trappola della deflazione tentando di importare l'inflazione che neanche con la monetizzazione arrivava. Avere alta inflazione significa svalutare il debito. In assenza, strutturale, di inflazione, gli operatori sono sicuri che il debito acquistato non si svaluterà.

Un elemento rilevante, un po' da nerd ma che i samurai del debito dovrebbero avere la decenza di valutare, è la composizione del debito inteso come liquidabilità degli asset detenuti dagli stakeholder pubblici. Una parte consistente, misurata nel 2017 in olte 800 miliardi di dollari, è composta da attività finanziarie e non finanziarie liquidabili a pronti. Se, in caso di crisi dei debiti sovrani simile a quella che ha colpito l'eurozona nel 2011-2012, le autorità monetarie giapponesi volessero liquidare questi asset, il rapporto debito pil scenderebbe intorno al 150%. 

Il debito pubblico italiano, e ora non solo italiano, è considerato a rischio soprattutto perché gli spazi di manovra fiscale sono ridotti al minimo. Al netto di un fisco iniquo e inefficiente (considerazioni che svilupperemo quando parleremo di riforma dell'Irpef) la pressione fiscale in Italia e nei Paesi UE è abbondantemente sopra il 40% e in alcuni casi sfiora il 50% del prodotto interno lordo. Applicando queste percentuali ai tax payers effettivi (nei nostri criteri contabili è compresa l'economia sommersa che vale 13 punti di PIL) il prelievo fiscale è molto al di là della metà della ricchezza prodotta. Il Giappone per contro ha una pressione fiscale appena sopra il 30% e applica aliquote per le imposte indirette che solo da poco hanno raggiunto l'8%.

Un altro elemento di differenza sostanziale è il sistema pensionistico. Ovvero la spesa pubblica differita che si dovrà finanziare con il prelievo fiscale e contributivo. Il sistema pensionistico giapponese è sostanzialmente basato sul secondo pilastro, ovvero i fondi pensione. Non è un caso che il principale asset dei fondi pensione siano i titoli di debito pubblico. Si innesta un circolo virtuoso di sostegno della spesa futura perché nessuno ha interesse a tagliare il ramo su cui 130 milioni di giuapponesi sono seduti. Contemporaneamente i criteri di accesso alle prestazioni pensionistiche sono disincentivanti per chi aspira ad un assegno in età precoce. In Giappone si può andare in pensione a partire da 67 anni ma ci sono forti incentivi per posticipare questo momento sino al compimento dell'80° anno di età.

Il mix di queste condizioni fa sì che un Paese con una popolazione la cui età media è (appena) più alta della nostra abbia una spesa pensionistica pari al 9,6% contro una spesa pensionistica italiana del 16,8% e una spesa pensionistica media in Europa del 13%.

In conclusione, anche tralasciando le valutazioni sulla struttura sociale, la produttività del lavoro e dei fattori della produzione e tutte le peculiarità di un Paese che è lontano da noi non solo geograficamente, attenendosi a strettissimi criteri contabili il debito pubblico giapponese è non più rischioso di quello italiano e/o europeo pur avendo un numeratore che appare abnorme.

Anni di politiche monetarie accomodanti hanno eccitato gli animi dei nostri samurai del debito, dimenticando che la credibilità di una banca centrale, sia essa BCE o FED, si ottiene anche attraverso un dosaggio attento dell'espansione monetaria; e nel mondo reale la credibilità della banca centrale è indispensabile alla credibilità del Paese. 

 

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